Introduzione
La disciplina fiscale riguardante le Società Sportive Dilettantistiche di capitali senza scopo di lucro (di seguito per brevità SSD), previste dall’art. 90 della legge 289/2002, presenta due principali argomenti di confronto in dottrina.
Una parte della dottrina sostiene che le SSD, per poter beneficiare delle normative fiscali di favore previste per le associazioni sportive dilettantistiche (di seguito ASD), devono includere nei propri statuti due specifiche clausole:
– la clausola del “voto capitario” (o “voto per testa”);
– la clausola dell’intrasmissibilità della quota per atto tra vivi.
Tale impostazione fonda le proprie ragioni sul presupposto chele agevolazioni fiscalisiano condizionate alla presenza negli statuti, sia per le ASD che per le SSD, di tutte le clausole previste dall’art. 148, comma 8, del TUIR, tra le quali anche appunto la clausola del “voto per testa” e dell’intrasmissibilità della quota per atto tra vivi.
Un’altra parte della dottrina, invece, sostiene che le norme tributarie agevolative previste per le ASD si estendano anche alle SSD senza la necessità dell’inclusione negli statuti di quest’ultime delle due predette clausole.
In altri termini le SSD che prevedono nel proprio statuto l’attribuzione del “voto proporzionale” alle quote di partecipazione dei singoli soci nonchè la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi, possono beneficiare di tutte le disposizioni fiscali agevolative previste per le ASD – dalla legge 398/1991 alla “decommercializzazione” dei corrispettivi specifici di cui all’art. 148, comma 3 del TUIR – relativamente alle entrate provenienti da propri “tesserati”.
In questo approfondimento si evidenziano le ragioni a sostegno di quest’ultima tesi.
Capitolo 1
- 1. LA GENESI DELLE SSD quale fondamento della differenziazione statutaria rispetto alle ASD pur nella equiparazione fiscale: L’ART.90 DELLA LEGGE 289/2002
Fino al 2002, la gestione delle attività sportive dilettantistiche era di prevalente appannaggio delle associazioni. Anche altre organizzazioni giuridiche (società di persone, società di capitali) potevano – possono tuttora – svolgere attività sportive dilettantistiche, ma ad esse non vengono e non venivano riconosciuti i benefici fiscali concessi alle ASD, quali appunto, tra l’altro, la “decommercializzazione” dei corrispettivi provenienti dai propri associati e le agevolazioni previste dalla legge 398/1991, limitando così l’appeal alla scelta di queste altre formule societarie.
La scelta del legislatore del 2002 di “aprire” con enfasi la porta alla diffusione nello sport dilettantistico di formule societarie più stabili e “codificate”, quale quella della società di capitali, si è evidenziata con la legge 289 (la legge finanziaria del 2003) e specificamente con l’art. 90.
È doveroso subito chiedersi cosa abbia spinto il legislatore ad introdurre nel nostro ordinamento giuridico la figura della “società sportiva dilettantistica di capitali senza scopo di lucro”.
La risposta è da rinvenirsi proprio negli elementi differenziali sussistenti tra le società di capitali e le associazioni.
Le società di capitali godono della limitazione delle responsabilità dei soci ed inoltre fondano la propria governance su un rapporto non egualitario tra i soci stessi. Anche gli amministratori delle società di capitali hanno una maggior tutela rispetto agli amministratori di una ASD, si pensi solo all’automatica illimitata e solidale responsabilità di “chi ha agito” per l’ASD, prevista dall’art. 38 del codice civile per le associazioni non riconosciute che testualmente cita “delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione“.
In questi elementi si individua la ratio dell’art. 90 della legge 289/2002 riguardo alla “nascita” delle società sportive dilettantistiche di capitali (srl, spa) e specificamente nell’intento del legislatore di porre una limitazione della responsabilità e di fornire strumenti di governance non attribuibili a tutti gli associati in maniera diffusa e paritaria (come nelle associazioni), ma ai soli “soci” apportatori dei capitali e in misura proporzionale agli apporti di ciascuno di essi, secondo lo schema classico di funzionamento delle stesse società di capitali.
Infatti le società di capitali già esistevano ed erano puntualmente disciplinate dal codice civile.
Cosa mancava allora affinché le stesse si potessero affermare nello sport dilettantistico? Mancava solo l’ultimo elemento di appeal rappresentato, appunto, dalle “agevolazioni fiscali”.
Ecco allora che il legislatore del 2002 non ha fatto altro che unire i tre punti (responsabilità limitata –governance non democratica – agevolazioni fiscali) e prevedere espressamente che le società sportive dilettantistiche di capitali potessero “godere” dei benefici fiscali previsti per le associazioni sportive, fino ad allora naturali gestori dello sport dilettantistico.
Si riporta di seguito il testo integrale dell’art. 90 della legge 289/2002, nell’attuale versione, al fine di agevolare la lettura del presente approfondimento:
1. Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro. 2. A decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, l’importo fissato dall’articolo 1, comma 1, della legge 16 dicembre 1991, n. 398, come sostituito dall’articolo 25 della legge 13 maggio 1999, n. 133, e successive modificazioni, è elevato a 250.000 euro. 3. Al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 81, comma 1, lettera m),
Continua …. la prossima settimana con il capitolo 2
Dott. Donato Foresta
Dottore Commercialista e Revisore dei Conti
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